un po' perché il blog è mio, parla di me, delle mie stronzate e di certo non vuole insegnare o spiegare la vita a qualcuno,
un po' perché mi sembra l’unica scelta plausibile.
e di questa scelta elencherò le mie ragioni con l’intento, una volta tanto, di non giudicare nessuno e con la speranza di non farmi rompere i coglioni: se non volete leggere, non fatelo.
non scrivo niente sulle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo,
perché il fatto di aver studiato scienze internazionali diplomatiche, chiaro segno del mio interesse in materia, non mi rende né esperta né in grado di affermare nulla di interessante,
perché il mio ego smisurato, di fronte a certi fatti, è capace di fermarsi e lasciare posto a un sentimento che qui chiamerò pietà,
perché sono assolutamente certa che della mia opinione, o di come io mi senta riguardo a certi eventi, non freghi un cazzo a nessuno.
non scrivo niente sulle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo,
perché non sopporto la facile retorica del dolore, soprattutto se si tratta di un dolore di convenienza,
perché non mi piacciono le dietrologie vomitate con una violenza e un risentimento a me francamente incomprensibili,
perché non capisco il ruolo da Robin Hood che alcuni si sentono liberi di rivestire condividendo atroci notizie di massacri passati, magari gli stessi eroi che per una settimana hanno frantumato i coglioni con il leone Cecil.
non scrivo niente sulle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo,
perché non reputo i social luoghi adatti a discutere di politica, massimi sistemi e cose più grandi di noi,
perché ritengo che prima di parlare sia sempre bene informarsi
e prima di informarsi sia sempre onesto riconoscere la propria comprensibile ignoranza su questioni così delicate e complicate
non scrivo niente sulle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo,
perché alla difficoltà, di qualsiasi difficoltà si tratti, io rispondo con il silenzio.
lo faccio nella vita privata, nella vita professionale e di fronte alle difficoltà delle persone a cui voglio bene:
mi rifugio nel silenzio quando sento dolore,
rispondo con il silenzio quando il dolore è altrui.
la pratica del silenzio, per me, non è codardia ma segno di rispetto.
ecco.