martedì 6 dicembre 2016

Per te, Vittoria...

... ci sarà sempre conforto tra le braccia della mamma e del papà, anche quando avrai sbagliato tu o avrai fatto i capricci e, se proprio ti sentirai un po’ incompresa, ci sarò io. 

... ci sarà la passeggiata in Corso Italia , il sabato pomeriggio a Boccadasse per un succo di frutta e le domenica a guardare le partite della Sampdoria in tv (almeno i primi anni). 

... ci sarà il vestito che non ti piace perché ora vorresti decidere tu, l’arancia che non hai voglia di mangiare e il piatto di verdure sotto mentite spoglie che la mamma inventerà per fartele mangiare. 

... ci sarà il giocattolo nuovo che ti comprerò per il pomeriggio che passeremo insieme, 
il viaggio che farai in Sicilia con mamma e papà e la colazione a La Fabrique con i nonni. 

... ci sarà la prima nota di biasimo sul diario, il ginocchio sbucciato perché ti andava di correre 
e l’esame di quinta elementare, quando ti sentirai un po’ già grande. 

... ci sarà la prima cotta per un ragazzino con l'apparecchio, il primo bacio e la prima volta che dirai “non ho niente” tra le lacrime, perché parlare di una delusione d’amore farà male. 

... ci sarà studiare sui libri, fare una vacanza con le amiche e prendere la macchina per fare un capodanno con la tua amica, come mamma ha fatto con me. 

... ci sarà la tua “Amikka” che conoscerai da piccola e ti porterai dietro tutta la vita, come un’intensa storia d’amore, quella che incontrerai un giorno, per caso, nel bar del tuo palazzo e con la quale frequenterai persone tanto casiniste quanto per bene
e il fortunato che avrà l’onore di essere amato da te. 

... ci sarà una macchina nuova, un’esperienza in un’altra città, il pesto di pistacchi di Bronte e le borse divise con la mamma; 

... ci sarà una serata passata a cantare (male) canzoni improbabili al karaoke, il tatuaggio della tua squadra del cuore e smettere di fumare; 

.... ci sarà prendere per mano chi ne ha bisogno, superare un brutto momento e la tua colazione con cappuccio, focaccia e gazzetta dello sport; 

... ci sarà mamma, ci sarà papà e ci sarà tutta la tua famiglia lì con te. 

... ci sarà amore, tantissimo amore. 

... ci sarà tutto questo e ci sarà molto, molto di più. 
e, sì, per te ci sarò anche io. sempre.

benvenuta Vittoria, 
zia Caro 

mercoledì 12 ottobre 2016

incontri color porpora

per  una storia che non è mai nata, 
ma che ha sempre fatto parte della mia vita. 

per la moto, il casco e una decisione presa di pancia,
e i pomodori, la stropicciatura e il rientro a casa. 

per una Ceres, un bacio e un saluto prima di una partenza,
e un pensiero, un messaggio, l’incontro di un ritorno. 

per una tortina di compleanno improvvisata a mezzanotte, un grazie intenso e una sigaretta fumata proprio quando la Primavera smette e comincia l’Estate,
e una colazione di mattina presto, un “sei bellissima” e un ricordo ingombrante. 

per gli incontri fugaci, i saluti troppo veloci e i baci immaginati,
e i sorrisi sinceri, gli sguardi sicuri e gli abbracci stretti. 

per i genoa merda, le botte di doriana e i vaffanculo sorridenti, 
e le battute, le parole che non ci siamo mai detti e i discorsi solo pensati. 

per uno sguardo scambiato per caso qualche anno fa, 
che dopo quello ci siamo tenuti per gli occhi ogni volta che ci siamo visti. 

per le lettere che non ci diremo mai,
e per tutte le volte che ci incontreremo ancora.

per un biglietto scritto a mano, come quelli di una volta, 
e per le dita che si sfiorano prima di scivolare via.

per la porpora, che la maggior parte della gente nasconde, 
e altra, quella migliore, invece no. 

mercoledì 28 settembre 2016

la non-carta di identità

nella psicologia contemporanea l’identità  è l’espressione per designare la consapevolezza di un ente razionale di essere sempre il medesimo e distinto da tutti gli altri. 

sempre il medesimo che era prima di inciampare su una delusione, 
distinto dagli altri per la reazione che ne è derivata. 

distinto dagli altri perché non cede alla tentazione di attuare giochetti forse di successo ma certamente patetici, 
sempre il medesimo di quando si è voltato indietro scegliendo sé stesso e non l’infelicità. 

sempre il medesimo di quando da piccolo credeva così tanto nel prossimo da prendere la mano degli estranei e farsi portare in giro, 
distinto da quegli altri che vedono il malaffare in qualsiasi parola, gentilezza o sorriso. 

distinto dagli altri, quelli che non riescono a godere di quello che hanno, 
sempre il medesimo di quando non aveva paura di mettersi a ballare in una stanza ferma se sentiva una canzone che gli piaceva. 

sempre il medesimo di quello che da bambino rimaneva male per un no o un castigo non meritato, 
distinto da chi si lamenta della propria vita senza fare qualcosa che possa cambiarla. 

distinto dagli altri per i suoi gusti in fatto di cibo, musica e vestiti,
sempre il medesimo di quello che affondava il cucchiaio nella Nutella di nascosto (anche se ora lo fa di nascosto da sé stesso). 

sempre il medesimo di quello che è sempre stato in tutte le relazioni della sua vita, 
distinto dagli altri che rinnegano le proprie passioni a seconda di chi è loro accanto. 

distinto dagli altri, quelli che non cambiano mai idea per superbia, 
sempre il medesimo di quello che ha imparato a chiedere scusa ed è ancora capace di farlo.

sempre il medesimo di quello che si emozionava a mettere piede allo stadio, 
distinto da quelli che tifano una squadra di merda. 

nella psicologia contemporanea l’identità è l’espressione per designare la consapevolezza di un ente razionale di essere sempre il medesimo 
e distinto da tutti gli altri: non c’entra sesso, altezza, nome e cognome 

non c’entra niente sesso, altezza, nome e cognome. 
c’entra come sei nato, come non ti sei fatto cambiare nonostante tutto e come ti distingui dagli altri; 
c’entra cosa ti piace, se riesci a dare il meglio di te a tutti e come riesci a ridere dopo una tempesta. 

l’identità, per me, è tutto. 
e tutto non può essere di carta. 

martedì 13 settembre 2016

#CookTheMountain's impression

Pusteria, strada forestale, un po' di Badia e passo Furcia, 
presentazioni, strette di mano, baci e abbracci, 
sorrisi, molti sorrisi, chiacchiere e qualche sigaretta. 

spumante di mela, pullman gigante, foto di gruppo e Schöneck, 
parole in italiano, inglese, tedesco e qualche azzardo, 
stelle che brillano che di più non si può, whatsapp alle 4,15 del mattino e si comincia davvero. 

messaggi, telefonate, piccoli errori di percorso e impianti di risalita, 
museo a 2000 metri di altezza, diretta Facebook e panino così semplice da essere divino, 
Sole, altalena, rifugio Graziani e birretta per fermarsi un attimo. 

Chefs, ospiti, tartare di cervo e cuore di stambecco, 
aria troppo fresca, sigarette, grappa e discesa a valle, 
stelle che brillano che di più non si può, albergo e una notte troppo corta. 

colazione in quota, idee creative, scambi di opinione e applausi per tutti, 
nuovi arrivi, strette di mano, sorrisi di intesa e il Monte Elmo da lontano,
servizio al tavolo, carbonara di montagna e un kaiserschmarrn che mi ha fatto pensare che lassù, da qualche parte, esista un Dio del kaiserschmarrn. 

passeggiate di gruppo, lezione degli esperti, merda di mucca ovunque e cavalli in lontananza, 
aria fredda, di quella che fa bene, bollicine, fotografie di backstage e qualcosa di nuovo, 
stelle che brillano che di più non si può, una cena per la quale non trovo le parole e un ringraziamento vero. 

stelle che brillano che di più non si può, chitarra, grappa e carbonara notturna. 

stelle che brillano che di più non si può, Cook the Mountain, vecchi amici e nuove conoscenze. 

stelle che brillano che di più non si può. 

martedì 9 agosto 2016

l'emozione di c.

è così che succede quando ti presentano un cantante di cui sei appassionato: ti viene in mente che prima di lui c’era suo papà, 
che accavallava le gambe, teneva la sigaretta in mano, parlava con la stessa coccina come il tuo di papà
e che come lui se ne è andato troppo presto. 

è così che succede quando ti presentano un cantante di cui sei appassionato: ripensi al perché lo conosci, 
alla musicassetta con l’etichetta scritta da papà “F. De André” e un anno che non ricordo, certamente lontano, 
al momento in cui ho scoperto le sue canzoni e, una volta fatto, è stato per sempre. 

è così che succede quando ti presentano un cantante di cui sei appassionato: diventi rosso (dentro) e non parli, 
ti godi il momento, ti godi la dedica sul libro, ti godi lo stesso identico accento che ti accompagna da una vita 
e cerchi di conservare nella mente il ricordo delle parole che senti. 

è così che succede quando ti presentano un cantante di cui sei appassionato: ti piazzi in prima fila per sentirlo raccontare la sua vita,
ridi, batti le mani, filmi e magari un po’ ti commuovi
e ti compiaci perché sai per certo di essere l’unica che sa che cazzo sia Savignone. 

è così che succede quando ti presentano un cantante di cui sei appassionato: schizzi in albergo perché ti dicono che vuole suonare, 
ascolti le canzoni che ti hanno fatto sognare, morire, piangere, 
fai video perché non ti ricapiterà mai più di essere in una hall a sentire cantare così da vicino Cristiano, 
sussurri le parole sottovoce per non farti sentire e, cazzo, anticipi anche la fine di una canzone.

è così che succede quando ti presentano un cantante di cui sei appassionato: torni a casa alle 3 e rotte del mattino cercando di ricordare che hai persino cantato i Trilli con lui, 
sei felice, vorresti raccontarlo a tutti, ti guardi i video che hai fatto 
e pensi che la prossima volta che vorrai sentire “Se ti tagliassero a pezzetti” lo potrai fare attraverso il  telefono e non su YouTube. 

è così che succede quando ti presentano un cantante di cui sei appassionato: ascolti Invisibili sussurrando ma òua che se vedemmu dumàn tüttu u cangiàa
pensi al fumo di Caricamento e alle notti di Genova, 
e, mai più di prima, alla svolta della vita in una sola frase che dice “continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai”. 

è così che succede quando ti presentano un cantante di cui sei appassionato: è un’enorme emozione. 
l'emozione di c. 

mercoledì 13 luglio 2016

issare l'àncora

l’àncora alla quale mi aggrappo in caso di confusione é il mio passato. 
cioè, a volte anche l’oroscopo, ma principalmente il mio passato. 

una delle cose che ho smesso di fare è evocare i momenti più tristi per avere la scusa di farmi un pianto liberatorio senza alcun motivo ed è stata una piccola impresa; 
questo non significa che non ricordi nulla perché come ampiamente raccontato la memoria non fa selezione
solo non la uso come strumento di sfogo. 

tuttavia tendo ancora ad aggrapparmi ai ricordi più felici del passato per permettere di sopire i momenti irrequieti del presente ed evitare che mi infondano ansia per i giorni del futuro.

ma ora è arrivato il momento di smetterla. 

è arrivato il momento di smetterla perché non c’è nulla di promettente nell’usare stracci di una felicità ormai logora per farsi una coperta che pensi ti potrà far dormire la notte, 
o cercare negli occhi delle persone che conosci gli sguardi di persone che non fanno più parte della tua vita perché lontane o passate o non più qui,
o ancora vivere di una tagliente malinconia che distorce i ricordi e li trasforma in futili necessità di cui si pensa di avere bisogno. 

è arrivato il momento di smetterla perché la lucidità del presente non può essere offuscata dalla confusione di un’euforia che non c’è più sottraendo entusiasmo alla voglia di vedere il futuro, 
o perché certe cose non succedono più ed è questo che le rende dolci, tipo la Samp dello scudetto, Alberto Tomba o gli anni del sabato ti veniamo a prendere a scuola con i panini e poi si parte, 
o ancora perché, semplicemente, non occorre rivolgersi sempre a quello che è stato, per quanto sia parte di noi e ci abbia formato. 

è arrivato il momento di smetterla perché, diciamocelo, da dietro non arriva mai nulla di buono. 

è arrivato il momenti di issare l'àncora, tanto da qualche parte si va.

mercoledì 29 giugno 2016

le cose migliori che si possono fare

ho sempre pensato che al mondo esistesse per ogni persona una personalissima e mutevole lista di cose migliori che si possono fare.

cose migliori in generale, senza termine di paragone, perché non si sa se quello che è migliore per me lo è anche per qualcun altro, 
cose migliori in continua evoluzione, perché quello che mi pareva fosse migliore tre anni fa ora potrei considerarlo una stronzata. 

quindi sì, ho anche io una personalissima e mutevole lista di cose migliori che si possono fare. 

come non giudicare le persone dai gusti musicali, anche quando discutibili,
o dalle parole che usano per sentirsi nel giusto, parole di cui spesso e volentieri non ne conoscono neppure il significato 
o dall’abuso di punti di interpunzione, nonostante faccia fatica immane. 

come ammirare un animale selvatico che mi si pianta davanti all’improvviso senza fare foto per non perdere neppure per un attimo l’intensità di quello scambio di sguardi, 
o percorrere certi tratti di strada con una particolare canzone per trasformare la consuetudine in un personale rito di cui essere quasi gelosa
o variare ogni sera la posizione grazie alla quale mi addormento, perché ogni sera ho bisogno di sentirmi diversa. 

come non etichettare il prossimo in base alla sue passioni, per quanto incomprensibili possano risultare ai miei occhi,
o dagli espedienti che usano per per prendere sonno, gocce, luce accese, preghiere o che so io
o ancora da come preferiscono passare il tempo libero, perché è poco per tutti e quindi davvero sacrosanto. 

come non scoprire tutto subito di una persona per lasciare ancora qualcosa da farsi raccontare, intuire, chiedere, 
o assecondare la sensazione che mi indica di aspettare il momento giusto per... innamorarmi, cambiare casa o trasferirmi altrove
o ancora valutare se qualcosa che mi succede possa essere un simbolo, di una fine, un inizio o di un fantastico durante. 

come lasciarmi trascinare dalla corrente per superare un lutto, una botta o una frattura, prima di riprendere in mano la nostra esistenza, 
o decidere di cambiare il corso degli eventi con un messaggio, un vaffanculo, o un bacio 
o fare una follia così grande che non mi fa smettere di ridere mentre sono terrorizzata dalla reazione altrui. 

come non rompere i coglioni agli altri perché è quello che non vorrei venisse fatto a me, 
o smettere di dare la colpa del mio atteggiamento a terze persone, eventi esterni o il mio passato perché solo io posso prendermi la responsabilità di poter essere quello che voglio diventare
o in ultimo, se proprio non riesco a fare a meno di giudicare, fare una netta distinzione tra giudizi di fatto e giudizi di valore e sulla base di quello stare ben attenta a quello che dico.

ho sempre pensato che al mondo esistesse per ogni persona una personalissima e mutevole lista di cose migliori che si possono fare e questa è la mia. 

personalissima, perché io non parlo mai per gli altri,
mutevole, perché cambio insieme a lei. 

giovedì 16 giugno 2016

del doman non v'è certezza

sappiamo bene tutti che nella vita non ci sono certezze, 
che spesso é sufficiente uno starnuto per scombussolare i piani, di qualsiasi piano si tratti, 
e che siamo appesi a quel fottuto filo che non si sa bene da che parti inizi, dove finisca e dove cazzo stia cercando di portarci. 

è per questo che scrivo un post sulle mie certezze, 
per aiutarmi a ricordare le basi su cui poter lavorare, anche se a cosa di preciso non saprei.

le canzoni dei Beatles, a qualsiasi ora del giorno, della notte e del tempo a metà, 
il panino crudo e mozzarella con un bicchiere di vino, 
i Goonies, Crocodile Dundee e Senti chi parla 1,2 e adesso. 

Il Secolo XIX al bar davanti a un cappuccino e una striscia di focaccia, 
la sigaretta dopo aver fatto il bagno in mare ma non quando lo fai in piscina, che chissà perché, 
tutte le repliche di Scrubs che non potrebbero mai stufare, mai. 

il sapore di fare una valigia sconclusionata perché stai per partire, e chi se ne frega dove, 
andare in bagno in ufficio per fare pipì e notare che, come tutte le sante volte, la carta igienica finisce e nessuno mette il rotolo nuovo al suo posto, 
puntare la sveglia alle 6 per andare a correre e scendere dal letto alle 8,10 dopo una lenta agonia di suoni molesti. 

l’incontenibile molla che parte dentro di te e ti fa ballare ovunque tu sia “Like a prayer” di Madonna, 
cantare in qualsiasi luogo isolato o meno “Maledetta Primavera” di Loretta Goggi,
dire che cacatura di cazzo ogni volta che ti siedi al pc. 

il saluto del nonno il martedì mattina quando passa in ufficio e magari propone involtini, gulasch pusterese o pesce spada, 
la telefonata della mamma la sera per chiederti come è andata la giornata
e la consapevolezza che ovunque nel mondo se vedi uno dei tuoi fratelli è sempre una festa. 

l’insolenza con cui alcune canzoni ti si piazzano in testa per non andarsene più per giorni interi, 
la chiara visione di uscire da una Chiesa maritata sulle note di Malibu delle Hole se mai ti dovessi sposare, 
considerare il genoa una squadra davvero di merda e gasperini l'uomo più irritante del mondo.

l’indiscutibile amore che si può per Robert Redford, Sete Gibernau e Slash, 
il bene che vuoi ai tuoi amici, quelli veri, quelli che sanno perfettamente chi sono senza che debba fare l'elenco
e la profonda convinzione che gli uomini con cui c'è stato qualcosa siano stati fortunati anche solo ad avermi avuto per poco (e, in certi casi, coglioni ad avermi fatto andare via).

il ponte del 2 giugno, l’emozione della vigilia di Natale, 
i  compleanni di tutte le persone che conosci perché hai un’incredibile quanto inutile memoria per le date, 
“Come eravamo”, Bette Davies Eyes di Kim Carnes, i ricordi nitidi e pure quelli un po’ deformati dal tempo, 
lo sconfortante arrivo ad Ala Avio che indica che c’è ancora un’ora di cacatura di cazzo per tornare a casa. 

insomma, la maggior parte delle certezze sono solo dettagli, amenità o pensieri personali senza fondamento, 
ma è proprio grazie a loro che lo attenuiamo la sensazione di smarrimento ogni volta che il futuro ci assale. 

per il resto, come diceva un poeta vero "chi vuol esser lieto sia

mercoledì 11 maggio 2016

il primo amore non si scorda mai?

credo dipenda molto dal tipo di primo amore che è stato e io sono stata molto fortunata,
forse è per questo che poi lo sono stata meno, ma va bene così. 

il primo amore non si scorda perché ti insegna a contare su qualcuno che non sia tua mamma, 
a confidarti in modo diverso da come faresti con le amiche perché cerchi di selezionare gli argomenti per fare comunque colpo
e ad andare in giro per mano, un gesto così semplice ma così necessario quando sei adolescente. 

il primo amore non si scorda perché ti permette di sentirti grande e al tempo stesso ti fa disegnare cuoricini durante la lezione di diritto ed economia, 
di sognare un futuro in una villetta bifamiliare con la tua vicina di banco,
e di imparare tutte le canzoni del momento certi siano state scritte per voi. 

il primo amore non si scorda perché ti mostra la parte più timida di te non facendoti andare a un appuntamento tanto voluto, 
colorando di rosso le tue guance ogni gesto che non ti aspettavi, anche il più casto
e paralizzandoti ogni volta che ti viene chiesto di andare a casa sua. 

il primo amore non si scorda perché ti lascia il gusto di una sigaretta in una notte qualunque qualche minuto dopo il coprifuoco, 
il profumo di un mazzo di fiori che ti aspetta a casa per un giorno preciso di un qualsiasi mese, 
e la sensazione di vertigine di vedere gli occhi di una persona così da vicino. 

il primo amore non si scorda mai perché ti fa guardare il motomondiale e riconoscere dal cascoMicael Doohan, 
ti fa distinguere un litigio con fuga dalla fine della storia
e ascoltare Queens e Nirvana come mai più farai in vita tua. 

il primo amore non si scorda mai perché ti ricorda una della parti migliori della tua vita, 
la tenerezza di guardare le stelle in un prato la notte di San Lorenzo
la sicurezza di salire su una moto perché ti fidi di chi la guida. 

il primo amore non lo scordo perché è stato l’unico amore davvero felice e normale della mia vita, 
perché alcuni anni dopo la sua fine dichiarai candidamente alla mamma “oh, ma io sono certa che ci sposeremo io e lui”
e perché è la prima volta di molte cose. 

il primo amore non si scorda mai?
se è stato come il mio, no, non si scorda mai. 

e resta lì, appeso tra i ricordi migliori di tutta una vita.

giovedì 5 maggio 2016

del perché ci si chieda perché i single sono single. e di come sarebbe il caso di smettere.

ho letto questo articolo un bel po' di volte prima che riuscissi a formulare un pensiero in merito, senza peraltro che mi sia stato chiesto da alcuno, e scrivere quello che diventerebbe il mio terzo post sull'argomento dopo sempre single, mai sola e ancora single ma mai sola,
nella speranza che chi mi legge non pensi che questo discorso stia diventando un'ossessione perché non è così: tre post su un totale di 240 ha un'incidenza minima, cioè del 1,25% (sempre che l'aritmetica imparata controvoglia alle medie mi abbia supportato correttamente). 

e comunque dicevo di aver formulato un pensiero che potrei sintetizzare con un "non rompeteci i coglioni" ma, si sa, mi piace scrivere cose che superino le dieci righe. 


ho smesso di chiedermi perché sono single per svariati motivi, tra cui il più importante sono le risposte che mi davo e che hanno seriamente minato la mia sanità mentale. 

tipo essere stata Mata Hari in una vita precedente, compensare la sofferenza che ho inflitto io agli altri alla fine di un amore (considerando i fatti tra l'altro dovrei già esserci ampiamente riuscita) o essere nata con l'unico obiettivo di indicare a tutte le persone con cui ho avuto una relazione di qualsiasi genere, o lunghezza, la strada delle felicità con un'altra persona

ho smesso di farmi chiedere perché sono single per svariati motivi, tra cui le risposte che ero solita dare e che il più delle volte mi mettevano di pessimo umore per parecchie ore dopo l'indiscreto quesito. tipo che è colpa mia perché scelgo gli uomini sbagliati e magari nel mio inconscio lo faccio apposta, oppure sono solo sfortunata e incontrerò quello giusto il giorno prima di morire di vecchiaia, o ancora che è un destino un po' del cazzo che mi fa incontrare uomini discutibili. 


quindi, se ho smesso di chiedermelo io e non me lo faccio più chiedere dagli altri, 

capisco molto poco la voglia di analizzare per forza la situazione. 

ricerchiamo il mito del grande amore nonostante siano passati gli anni dell'adolescenza? 

può darsi ma buon per chi lo fa e non si accontenta del primo stronzo che passa per non sentirsi solo o pagare le bollette a metà. 

rifuggiamo per un periodo da relazioni di qualunque genere perché l'ultima volta che abbiamo chiuso siamo stati così male da non riuscire neppure a respirare? 

forse, ma del resto sono, con tutto il rispetto, anche un po' cazzi nostri. 

saltiamo da una frequentazione all'altra senza che questo comporti un impegno diverso dal decidere per messaggio quando e dove vederci? 

probabile, ma non capisco perché si debba dare amore se non lo si prova, non ne vale la pena o al momento non è contemplato. 

ci sentiamo single nonostante matrimonio, convivenza o relazione stabile? 
non è possibile: se si è in coppia non si è single e si farebbe bene a diventarlo molto presto se ci si sentisse così. 

quindi è così, siamo come tutti: lavoriamo, andiamo a correre, teniamo in braccio bambini, giochiamo con il cane, beviamo un bicchiere di vino la sera per scaricare i nervi, litighiamo con perfetti sconosciuti e telefoniamo alla mamma. 

ci incazziamo, piangiamo, dormiamo troppo poco, mandiamo messaggi a orari assurdi, cuciniamo per gli amici, compriamo macchine nuove e facciamo l'amore. 
ridiamo a crepapelle, scegliamo di vedere un film, compriamo cose che difficilmente metteremo, andiamo a farci la piega, pestiamo accidentalmente merde di cane,siamo invitati a matrimoni e decidiamo di fare viaggi. 
perdiamo il treno, andiamo a sciare, ci facciamo venire crisi di nervi ogni volta che dobbiamo mettere il piumone matrimoniale nel copripiumone, andiamo in un ristorante che ci piace, stiamo a letto tutto il giorno, tifiamo fortemente una squadra di calcio e cambiamo colore di capelli. 
abbracciamo forte un nonno, scriviamo a un'amica lontana, scegliamo un profumo nuovo, traslochiamo in un'altra città, affrontiamo un lutto, cantiamo sotto la doccia e balliamo senza la vergogna di quando eravamo più piccoli. 

siamo come tutti e viviamo come tutti. solo che lo facciamo da soli. 

quindi no, scusate ma non abbiamo tempo di chiederci perché, di rispondere a domande impertinenti o di leggere articoli che ci indicano come fossimo casi umani. 

e ora che è finita la Walkürenritt di Wagner che ho usato come colonna sonora motivazionale per scrivere questo post, posso concludere con estremo ed efficace riassunto, 

non rompeteci i coglioni. 

martedì 3 maggio 2016

2 maggio, il giorno del mio ringraziamento

ieri era il 2 maggio, l'anniversario dei due giorni più felici della mia vita. 

di quel tipo di felicità che non ha bisogno di un velo di malinconia per renderti più interessante agli occhi degli altri, 
che non cerca l'allegria per renderti più luminosa, 
che non vuole un'altra persona per aumentare il suo effetto su di te. 

di quel tipo di felicità che non si esaurisce in una notte inaspettata,  
che non si conclude con qualche ora di ebbrezza dei sensi, 
che non termina con un sorriso, a meno che a ridere non siano tutte le tue interiora. 

di quel tipo di felicità che non riesce a farti dormire, 
che non aspetta che sia il giorno dopo per parlarne con qualcuno, anche solo l'immagine di te stesso allo specchio,
che non passa inosservata agli occhi di chi incontri. 

di quel tipo di felicità che non conosce le regole del tempo perché inizia prima, continua durante e non termina mai, 
che infrange quelle dello spazio perché pur essendo immensa riesce a stare dentro te, 
che non si lascia sognare perché è così verosimile da sembrare irripetibile. 

di quel tipo di felicità così solo tua che non riesci a spiegarla a nessuno, 
così intima che non ne conosci l'origine vera ma solo quella apparente, 
così totalizzante che non ti lascia stare neppure per un attimo. 

di quel tipo di felicità che rende il 2 maggio il mio giorno del ringraziamento, 
un giorno in cui di norma non smetto mai di sorridere. 

e che mi fa pensare che se tutti avessero un 2 maggio, anche a distanza di 11 anni l'uno dall'altro come per me, al mondo ci sarebbe un po' più di speranza. 

venerdì 15 aprile 2016

innamorarsi

nell’ultimo post dicevo che è molto tempo che non dico “ti amo” e ancora di più che non me lo sento dire. questo, però, non significa che io nel frattempo non mi sia però innamorata, anzi: mi è successo molte volte. 

mi sono innamorata di un biglietto lasciatomi a casa, 
di una canzone che ho sentito così tanto che poi mi è venuta la nausea, 
di un libro regalato da un’amica e di quello consigliato per cambiare la mia vita. 

mi sono innamorata di un paio di occhiali da sole, 
del letto della stanza dell’albergo di Verona, così grande da farmi sentire davvero piccola,
della mia macchina nuova e di tutti i km che ho fatto con lei tra musica, lacrime e parolacce. 

mi sono innamorata della vellutata di zucca e mele assaggiata per caso durante un törggelen, 
di una mattina che ho messo la sveglia all’alba e sono andata a sciare da sola,
dell’ennesima volta che ho visto un film con Robert Redford e, naturalmente, anche di lui. 

mi sono innamorata di una notte inaspettata senza innamorarmi di lui,
della luce del deserto quando il sole scende lento e il vento si alza forte, 
di un profumo non mio e di quello che indosso ora. 

mi sono innamorata del gin tonic con Hendricks, pepe e cetriolo, 
del mio compleanno a Montecarlo e degli amici con cui l’ho trascorso, 
del matrimonio della mia migliore amica e del suo bambino, che è anche mio nipote. 

mi sono innamorata di una serata con i miei amici, 
della mia festa dei 30 anni, 
di una telefonata ancora da fare e di quella ricevuta che non dimenticherò. 

mi sono innamorata di una foto di papà, della sua voce e del suo profumo, 
delle rare volte che noi tre fratelli siamo insieme, 
delle cene con la mamma e degli aperitivi con il nonno Franco. 

mi sono  innamorata di una lettera scritta con cura ma mai spedita, 
di un cd lasciato in un libro di macroeconomia a cui è stato tolto dignità, 
di messaggi lasciati in bozze e di un fiore portato per colazione.

mi sono innamorata del cuore che mette Giulia in ogni parola che mi dice, 
dei miei ricordi, nitidi o meno, 
di un bacio dato per errore e della mia prima volta. 

mi sono innamorata di un gol di Bazzani su assist di Flachi, 
di me nella Sud a vedere la Sampdoria, 
di un anello che mi è stato rubato e di Lefty.

mi sono innamorata di un’idea, una città, un mare diverso da quello di Genova e di capelli intrisi di sale. 

mi sono innamorata di un lavoro, un certo tipo di neve, di CARE’s e di una temperatura molto rigida. 

mi sono innamorata di una professione altrui, di un bicchiere di vino, di una Merit presa fra un pacchetto morbido e della focaccia con le cipolle.

mi sono innamorata degli  uomini sbagliati e sono innamorata dell’amore. 

sono una che si innamora molto spesso ma che ama molto, molto raramente. 
il bello, per me, è proprio questo. 

giovedì 10 marzo 2016

le parole che non dico più

non dico ti amo da 5 anni. 

non dico ti amo da 5 anni perché l’ultima volta che l’ho detto è rimasta una frase così sola e  appesa a un filo di nulla che mi ero promessa di riflettere con molta attenzione su chi gratificare gratuitamente con quelle parole, 
perché un conto era innamorarsi di uno stronzo e un conto era dirglielo 
o perché l'avevo sostituito con un sonoro ti odio pensato in silenzio. 

non dico ti amo da 5 anni perché probabilmente non mi sono sentita del tutto a mio agio con gli altri uomini della mia vita, 
perché sono certa che quella volta che mi è stato detto e ho risposto “grazie” ha determinato il mio karma
o perché sono convinta della regola non scritta per cui un uomo debba dirlo per primo ed evidentemente non mi è andata così bene.

non dico ti amo da 5 anni perché forse non sono stata così coraggiosa da mettere volontariamente in fuga chi se lo sarebbe sentito dire, 
che chissà, magari non avrei perso tempo ad aspettare chissà quale segnale da una persona che non voleva farsi lasciare segni da me
o probabilmente perché ho confuso l’amore con un momento di bisogno in un giorno di dolore prima di una notte di mezza estate. 

non dico ti amo da 5 anni perché a quelle due parole dò un peso specifico così potente che non mi sento di regalarle al primo che mi fa venire i brividi, 
perché c’è una precisa dimensione dell’amore che si può esprimere solo a parole, quelle parole che non possono essere spese per ogni storia 
o perché di solito prima di dirlo lo scrivo e prima di scriverlo lo sogno di notte. 

non dico ti amo da 5 anni e non me lo sento dire da 6.

forse chiederete come sia possibile; 
non so, ma è proprio così e francamente me ne infischio.