martedì 22 dicembre 2015

lacrime d'amore

insomma, ero lì che passeggiavo a 6.7 km/h in corso Italia quando ho sentito un suono strano. 
strano ma comune, molto comune. 
di quei suoni che non capisci da dove o da chi vengano, 
ma che in qualche modo sai ti appartengano. 

poi l'ho vista: era seduta su una panchina con gli occhiali da sole 
e una sciarpa enorme che stonava con l'insolito clima mite di un 20 dicembre qualsiasi a cercare di coprire la fonte di quel verso, che altro non era che un singhiozzo. 

ecco perché quel suono mi era familiare, perché anche io ho sempre riversato le mie lacrime in luoghi pubblici alla mercé di sguardi compassionevoli di sconosciuti piuttosto che tra le braccia di un'amica.

avrei voluto dirle tante cose, ma soprattutto l'ultima verità che ho imparato: 
in amore si piange per sé stessi, non per gli altri. 

non piangi per la persona che ti ha fatto soffrire 
ma piangi per liberare un'emozione. 
e le emozioni, qualsiasi esse siano, sono un segnale di vita. 

non piangi per la perdita di una storia d'amore, 
ma piangi per il sentimento che tu hai dato a una persona. 
che poi si è rivelata essere sbagliata per te. 

non piangi per recriminare un dolore che ti ha procurato, 
ma piangi per liberare il tuo. 
che riguarda così intimamente la tua persona, che quando lo capisci sai di esserne uscito. 

non piangi per la parola fine a un sogno che credevi comune, 
piangi per le aspettative in un futuro che tu pensavi di poter costruire. 
che è una cosa solo tua, probabilmente neppure mai condivisa.

non piangi per lui o lei, 
piangi a causa sua

si piange per sé stessi e non per gli altri. 
si piange perché ci amiamo e siamo egoisti e vogliamo solo il meglio per noi. 

ecco cosa sono le lacrime d'amore: 
un modo per guardarci allo specchio e dirci "ti voglio bene".






martedì 15 dicembre 2015

diapositive di famiglia

il mio ciao mamma stupito in piazza De Ferrari, 
una voce tra i mille cori per festeggiare il quarto posto, 
la sorpresa di scoprire quanto c'è di noi anche in quello. 

Carolina sei un po’ pallidina detto dal nonno Franco, 
il suo cappello da cowboy bianco, 
il suo abbraccio così stretto da farti il solletico.

Ste ed io chiusi dentro il castello delle streghe al luna park di Novi Ligure a causa di un black out, 
il mio tentativo di ostentare sicurezza nonostante la situazione, 
la certezza di non avere ricordi prima di lui. 

il profumo del rossetto della nonna Luisa, 
il suo sorriso così grande da diventare un abbraccio, 
la sua goccia di caffè nella zuccheriera per rendermi partecipe di quel momento tra grandi. 

la presenza a ogni concerto dei White Shiver, 
il mio impeccabile ruolo di attempata groupie ma per Nucs questo e altro,
tutti i drink offerti dai baristi dei locali.

la merenda della bisnonna Vincenza dopo lo sci,
il suo bacio in fronte nonostante fosse quasi più bassa di noi,
l’accento bergamasco ogni volta che parlava con il nonno Piopà.

in macchina con Paolo per le stradine sterrate di campagna, 
il suo “allacciati la cintura che sfondiamo il limite”,
le scommesse all’ippodromo di Pozzolo Formigaro. 

lo zio Ale che mi prende a cavallo durante una fiaccolata a san Candido, 
così piccola da potergli salire sulle spalle, 
così fortunata da fare quell’ultimo pezzo di pista dall’alto. 

un aperitivo a caso con lo zio Fede, 
i nostri confronti, le nostre risate e le confidenze, 
quei gin tonic solo con il bombay che hanno fatto credere a un amico che fossimo fidanzati.

Carolina muoviti detto dal nonno Johnny  esasperato dalla mia lentezza nel bere il caffè latte la mattina, 
la varicella che ci ha fatto conoscere un po' meglio
e averlo sempre considerato come un figo pazzesco. 

papà che mi apre la porta di casa sorridendo, 
la sigaretta in mano, un foulard rosa a coprire la ferita, la barba un po’ lunga
e io che penso Adri, sei bellissimo

lunedì 7 dicembre 2015

leggero, come l'olio sull'acqua

c' è un attimo nella vita di una persona che sta cambiando, si sta assestando o vorrebbe ristrutturarsi, in cui tutti i macchinosi pensieri di rinnovo, rimpianto o rimorso si annullano per non tornare più. un attimo in cui non si pensa a niente e, finalmente, ti senti leggero. 

leggero, come quando ti viene da sorridere mentre pulisci casa, e di norma non c'è un cazzo da sorridere perché è una cosa che odi, 
come il vento freddo di mattina, che ti sveglia senza farti arrabbiare, 
come la piuma di una giacca invernale che ti passi sul viso per vedere se soffri ancora un po' il solletico. 

leggero, come quando ti svegli felice per un sogno che hai fatto, 
come trovare una foto che non ricordavi più di avere, un po' per caso ma forse anche per destino, 
come riuscire finalmente ad ascoltare una canzone senza diventare triste anche se ti ricorda qualche testa di cazzo che è uscita malamente dalla tua vita. 

leggero, come lo zucchero a velo sparso su una discutibile torta assemblata senza cognizione di causa, 
come un profumo che senti per strada addosso a uno sconosciuto e vuoi sapere assolutamente di quale si tratta, così, per soddisfare la tua curiosità, 
come il gusto di un abbraccio con la tua amica di sempre. 

leggero, come ricordare un giorno della tua vita e pensare "com'ero felice", 
come togliersi gli scarponi dopo aver sciato, 
come un negroni con un amico che vedi poco ma senti molto spesso. 

leggero, come decidere finalmente che è ora di partire da soli, 
come quando hai deciso di ristrutturarti, prima fuori e poi dentro, 
come il soffio di un sospiro non tuo all'orecchio. 

leggero, come sapere di aver superato anche quello, 
come volere il bene delle persone che non fanno più parte della tua vita, 
come la mail di Giulia che manda l'oroscopo. 

leggero, come una cena con gli amici e un messaggio inaspettato, 
come ritirare il passaporto perché stai per partire e il regalo di San Nicolò, 
come la neve attaccata agli sci e il profumo di vin brulè. 

leggero, come le luci di Natale, 
come tornare a casa, 
come l'olio sull'acqua. 

leggero, come il vestito migliore. 
leggero, come me ora. 


lunedì 16 novembre 2015

la pratica del silenzio

non mi è mai successo di scrivere qualcosa sul mio blog che facesse riferimento alle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo, 
un po' perché il blog è mio, parla di me, delle mie stronzate e di certo non vuole insegnare o spiegare la vita a qualcuno, 
un po' perché mi sembra l’unica scelta plausibile. 
e di questa scelta elencherò le mie ragioni con l’intento, una volta tanto, di non giudicare nessuno e con la speranza di non farmi rompere i coglioni: se non volete leggere, non fatelo. 

non scrivo niente sulle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo,
perché il fatto di aver studiato scienze internazionali diplomatiche, chiaro segno del mio interesse in materia, non mi rende né esperta né in grado di affermare nulla di interessante,
perché  il mio ego smisurato, di fronte a certi fatti, è capace di fermarsi e lasciare posto a un sentimento che qui chiamerò pietà
perché sono assolutamente certa che della mia opinione, o di come io mi senta riguardo a certi eventi, non freghi un cazzo a nessuno. 

non scrivo niente sulle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo, 
perché non sopporto la facile retorica del dolore, soprattutto se si tratta di un dolore di convenienza, 
perché non mi piacciono le dietrologie vomitate con una violenza e un risentimento a me francamente incomprensibili, 
perché non capisco il ruolo da Robin Hood che alcuni si sentono liberi di rivestire condividendo atroci notizie di massacri passati, magari gli stessi eroi che per una settimana hanno frantumato i coglioni con il leone Cecil. 

non scrivo niente sulle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo, 
perché non reputo i social luoghi adatti a discutere di politica, massimi sistemi e cose più grandi di noi, 
perché ritengo che prima di parlare sia sempre bene informarsi 
e prima di informarsi sia sempre onesto riconoscere la propria comprensibile ignoranza su questioni così delicate e complicate

non scrivo niente sulle atrocità del mondo, tutte le atrocità del mondo, 
perché alla difficoltà, di qualsiasi difficoltà si tratti, io rispondo con il silenzio. 

lo faccio nella vita privata, nella vita professionale e di fronte alle difficoltà delle persone a cui voglio bene: 
mi rifugio nel silenzio quando sento dolore, 
rispondo con il silenzio quando il dolore è altrui. 

la pratica del silenzio, per me, non è codardia ma segno di rispetto. 
ecco. 

martedì 10 novembre 2015

di Londra e di cosa mi sono un po' innamorata

di quel padre con gli occhi azzurri e la camicia a quadri che accompagnava la figlia dalla sua mamma a Londra per poi tornare indietro lo stesso giorno,
di come la guardava e le parlava un po’ in italiano e un po’ in inglese, 
dei progetti che faceva per Natale e Capodanno “che magari ti vengo a prendere in macchina così ci fermiamo una notte a Parigi”, 
di quelle tre birre che ha bevuto durante il volo per non pensare che dicembre è troppo lontano. 

di quei ragazzi conosciuti sul treno di andata, carichi per il loro week end libero da mogli, compagni, figli e cani, 
del modo di scherzare, parlare, ridere e sorridere così simile a quello dei bambini quando sanno di dover andare a Gardaland, così proprio del genere maschile, 
degli abbracci tanto calorosi quanto incomprensibile al momento dei saluti 
e del viaggio di ritorno passato di nuovo con loro a discutere sul perché le donne siano così rompicoglioni ma se non lo fossero gli uomini non le vorrebbero. 

di quel fighissimo uomo che nel mezzo di una cena thailandese ha salvato un suo amico che stava soffocando, 
della estrema naturalezza con la quale ha fatto la manovra di Heimlich per poi sedersi sorridente come se nulla fosse successo, 
dell’ammirazione che ha guadagnato dalla tipa che gli era di fianco, dal suo amico e, perché no, da tutti i presenti, 
del fatto che io abbia mangiato i noodles, ormai riconosciuti come potenziali killer, con estrema tranquillità 
e di aver preso seriamente in considerazione di diventare biondo platino come la sua fidanzata. 

di Oxford e di quei ragazzi che vivono nella storia e, al tempo stesso, puntano a farla la storia un giorno, 
delle tradizioni britanniche che, per quanto a volte risultino odorare di naftalina, emanano un fascino davvero magnetico
delle mie mal celate lacrime che confermano la mia odiosa emotività, 
del livello di bellezza degli amici di mio fratello, davvero molto alto.

del nero della mia macchina, che quando parto per tornare mi fa vedere il tramonto riflesso sulla portiera ogni volta che sto per sorpassare

venerdì 23 ottobre 2015

... sempre, m.

l’ho trovata per strada, alla mercé di abitanti della zona, barboni che la bazzicano e prostitute che stanno in piedi tutta la notte. 
era sporca, stropicciata, usurata e brutta da vedere, 
sembrava una di quelle cartacce che si trovano sull’asfalto delle città. 

non so perché mi ci sia cascato l’occhio, non so cosa mi abbia attratto di preciso, meno che mai so perché mi sia fermata in mezzo all’attraversamento pedonale ricevendo una strombazzata nervosa da un tizio che evidentemente aveva fretta, 
ma l’ho fatto e sono rimasta tre secondi immobile a cercare di saperne di più (ed evitare di essere investita). 

la calligrafia, disordinata, a tratti incomprensibile e leggermente storta, mi ha fatto subito pensare che chi l’ha scritta doveva essere un uomo e mi ha fatto leggere praticamente un cazzo
eccezion fatta per un sempre e una consonante seguita da un punto alla fine del foglio. 

e mi sono emozionata. 

per il fatto che ci sia ancora qualcuno che scrive lettere a parte me, in particolare un uomo, 
perché se l’ha fatto sarà stato sicuramente qualcosa di importante
e per le parole scritte in modo molto deciso, ben calcate con la penna su quel foglio bianco. 

per il foglio bianco, senza righe né quadretti, che mi ha sempre fatto pensare a una scelta di coraggio, che se scrivi storto lo vedono tutti, 
perché l’autore ha usato un punto e virgola, non so se a sproposito o meno, ma di questi tempi è già tanto se la gente ne conosce l'esistenza
e per tutti quelli che quando hanno troppi pensieri decidono di scriverli per non perderli.

per il sempre, che chissà che significato aveva tra tutte quelle parole (supplica, abbandono o una semplice promessa?)
per il destinatario, che chissà se era un amore da tenere, riconquistare o salutare, 
per la confidenza che deve esistere tra due persone, qualsiasi sia la natura della loro conoscenza, per chiudere con un'iniziale.

per la fine che ha fatto quella lettera lì, alla mercé di abitanti della zona, barboni che la bazzicano e prostitute che stanno in piedi tutta la notte,
e per il non aver ancora deciso, quando ci penso, se è stata buttata via da chi l’ha ricevuta, 
se si è persa per sbaglio o se non è mai stata spedita. 

per le storie raccontate con le lettere, 
le storie migliori. 

martedì 6 ottobre 2015

tu cosa pensi se ti dico occasione?

penso a un’occasione speciale. 
tipo quella volta che ti sei messa quel vestito che avevi comprato apposta, ricordi, e poi la serata è stata una vera merda, 
quando eri invitata a festeggiare il traguardo di qualcun altro e quella circostanza chissà perché é diventata un po’ la tua
o quando sei solita aspettare quel giorno così da tanto tempo che la sua magia si perde nell’attesa e resti lì, delusa e un po' stordita dalla cosa?

penso a quella che non ho saputo cogliere.
è stato il giorno in cui la comodità del tuo presente non ti ha permesso di cambiare il tuo futuro, 
la volta che la paura di responsabilità ti ha fatto perdere qualcosa, e soprattutto qualcuno, 
o quando hai risposto la cosa sbagliata al momento giusto e il il t9 della vita non è intervenuto a pararti il culo?

penso all’occasione che ha cambiato la mia esistenza.
quando sei andata in quel locale, hai incontrato lui dopo così tanto tempo e avete ricominciato a sentirvi, 
la volta che hai deciso di iniziare una relazione che si è rivelata disastrosa,
o quel giorno che hai deciso di rispondere al telefono anche se non conoscevi il numero, hai fatto un colloquio e ti sei trasferita in un’altra città?

penso all'occasione che ho perso. 
quale, quando hai deciso di rifiutare il voto a un esame e alla sessione dopo hai preso ancora di meno, 
quando ti sei lasciata sfuggire quella giacca che tanto ti piaceva e poi non l'hai più trovata
o la moltitudine di volte che hai deciso di parlare invece di stare zitta?


penso a chance. 
perché sono quasi certa di esserla. 

lunedì 21 settembre 2015

mokkaterapia parte seconda. tutte le relazioni della mia vita.

l’ho già scritto nel mio post di prima, la Mokka è diventata la mia nuova terapista e mi piace:
salvaguarda il mio portafoglio, costa solo la benzina che userei comunque, 
la dignità, perché per il momento non posso ancora essere contraddetta, 
la sanità mentale, perché smetto di parlare quando ho voglia. 

insomma, questa volta nel mio viaggio ho avuto la pessima idea di fare un bilancio di tutte le relazioni della mia vita; 
bilancio che, come prevedibile, è risultato essere ben più che fallimentare. 

ho vissuto una relazione-festa, di quelle che sono fatte solo di risate, bollicine e sufficienti km di distanza per non far scoprire l’una i difetti dell'altro, 
di quelle che non c’è nulla che ti possa far arrabbiare, discutere o anche solo innervosire, 
di quelle che ti telefoni nel cuore della notte per raccontarti il derby, che quando finalmente siete insieme di dormire non te ne frega niente, che la sintonia è così intima da diventare un’invidiabile complicità. 
di quelle che però, quando vuoi fare un passo avanti, si frantumano in qualche parola scritta al pc. 

ho vissuto una non-relazione-farsa, di quelle che una persona la conosci da molto tempo e poi le cose, una notte all’improvviso, cambiano,
di quelle che c’è solo desiderio, passione e la convinzione che tutte le persone intorno a te avevano già capito cosa poteva, anzi doveva, succedere, 
di quelle che la notte non dormi perché ripensi a quello che è appena finito, di quelle che conservi dei fotogrammi di profumi, colori, odori e sapori. 
di quelle che all’inizio un po’ ti illudono ma poi capisci che sei solo una delle altre e quindi anche arrivederci. 

ho vissuto una relazione-galera, di quelle che appena cominciano ti senti davvero la protagonista di un film e sei così felice che ti senti trasformata, 
di quelle che poi i giorni passano e inizi a sentirti triste anche se ti trovi in un castello il giorno del tuo compleanno, che non riesci più a sorridere e ti sembra tutto così opaco, 
di quelle che ti svegli di notte e piangi, che i tuoi amici iniziano a dirti che così non va, che un amore non può essere così cattivo. 
di quelle che quando un giorno apri gli occhi e ti rendi conto di quello che ti sei lasciata fare ti senti così idiota da voler cambiare città. 

ho vissuto una relazione-sbilanciata, di quelle che sei giovane ma fai le cose da grande e grande ti ci senti pure un po’, 
di quelle che durano molto tempo nonostante l’innamoramento finisca, che ti fanno sentire in colpa per un anch’io detto controvoglia, che ti lasciano in equilibrio tra l’affetto e il sentimento, 
di quelle che a un certo punto ti senti soffocare da tutto quell’amore non corrisposto e strappi via il cerotto, anche se ti fa piangere. 
di quelle che quando guardi indietro sorridi e ringrazi mentalmente lui, che ti è stato vicino e ti ha aiutato a crescere, soprattutto nei momenti di difficoltà. 

ho vissuto una relazione-felice, di quelle che nascono per caso, per un appuntamento a cui non ti sei presentata e una sigaretta rubata, 
di quelle che sono tutte prime volte, che ti colgono impreparata davanti a una rosa sul banco di scuola o a un anello comprato per il tuo sedicesimo compleanno, 
di quelle che pensi che durino per sempre, perché lui ti fa le sorprese e dice che ti ama e ti scrive le canzoni sul diario ed è una storia così pulita da sembrare davvero unica. 
di quelle a volte ti chiedi come sarebbe stato se, anche se sai benissimo che se non è successo vuol dire che non doveva succedere. 

non sono l’unica ad aver vissuto relazioni fallimentari, sbagliate, complicate o, semplicemente, che non hanno avuto motivo di esistere. 
lo so, così come so che ognuna di esse mi ha insegnato qualcosa, ha formato la donna che sono e ha fatto sì che avessi le idee più chiare su quello che voglio e, soprattutto, non voglio. 
c’è solo una cosa che mi dà da pensare: l’unica relazione sempre pulita, sempre felice e sempre straordinariamente semplice l’ho vissuta quando avevo 15 anni. 

prossimo viaggio proverò a capire perché. ma forse anche no. 

mercoledì 16 settembre 2015

mokkaterapia. le sorprese che non abbiamo mai fatto

nei miei lunghi viaggi in macchina da sola per non annoiarmi, non impazzire e non scaricare la tensione sugli stronzi che guidano male in autostrada, 
ascolto musica assemblata senza cognizione di causa, ricordo le cose più disparate e, soprattutto, penso molto. 

l’altro giorno ho pensato a quella  sera di fine novembre che mi sono presentata alle 23 in stazione per accogliere Kevin Molfetta con un bicchiere di vino, 
un gesto così semplice da risultare sorprendente, forse il più bello che abbia mai fatto per un uomo, e che mi ha ricordato che lui e io siamo uguali. 

siamo di quelli che partirebbero subito, macinando km solo per rispondere di persona sì a una provocazione, 
che non penserebbero alle conseguenze di un che cazzo ci fai qui detto in un modo non proprio amichevole, 
che viaggerebbero tutta la sera per passare qualche ora della notte con chi pensiamo possa meritarlo. 

siamo di quelli che a un sai, sto cucinando questo e poi vado a dormire risponderebbero presentandosi dopo qualche ora con una bottiglia di vino, 
che partirebbero la mattina presto di una domenica per portare la colazione per due e partire dopo poco, 
che elaborerebbero un piano studiato in due minuti per bussare a una porta lontana non curanti del fatto di poter ricevere una tremenda delusione. 

siamo di quelli che se litigassero si caccerebbero in macchina e andrebbero a chiedere scusa nel cuore della notte, 
che se si lasciassero con il partner l'aspetterebbero fuori casa per parlargli di persona, 
che se dovessero chiedere scusa lo farebbero contro un muso, anche se duro. 

perché lo faremmo? 
per ridere scompostamente durante il rientro pensando a quanto matti siamo stati, a prescindere dall’esito della nostra follia, 
per riscattare tutti i messaggi mai mandati, 
per avere una storia da raccontare. 

o forse, semplicemente, per tutte le volte che abbiamo pensato l’avrebbero fatto per noi. 

perché non l’abbiamo ancora fatto? 
perché non abbiamo ricevuto ancora la domanda giusta, quella che ti attorciglia lo stomaco e ti fa partire, 
perché non c’è stata la provocazione adeguata, quella che ti lascia uno spiraglio senza essere del tutto esauriente, 
perché non c’è stato il litigio violento, quello che ti lascia terrorizzato ed esausto. 

o forse, semplicemente, 
perché non abbiamo ancora trovato la persona che pensiamo lo possa meritare. 

martedì 1 settembre 2015

vita o non vita, questo è il problema.

l'abbondanza del peperoncino nel sugo che poi resti a bocca spalancata per un po', 
un bicchiere di vino dopo una giornata di merda, che se è di merdissima non è solo uno, 
la tua canzone preferita sentita per caso in un negozio che inizi a cantare perché non riesci a resistere.

la sicurezza di poter chiamare una tua amica a qualsiasi ora del giorno per raccontarle minchiate, 
il rumore della chiave che gira nella toppa di casa tua e dice semplicemente che qualcuno è tornato, 
un panino preparato con cura e consumato tra le montagne. 

un messaggio che non ti aspettavi che leggi così di corsa che rischi di capire poco o nulla,
l'abbraccio di una persona a cui vuoi molto bene, che ti lascia un pizzicore sul naso per l'emozione, 
il sorriso di chi non conosci da molto ma è felice di vederti e te lo dimostra. 

la voce al casello dell'autostrada che sembra darti il benvenuto, che tu alle casse automatiche non ci vai, 
il primo bagno in mare della stagione, quando nonostante il freddo iniziare resti lì a ciondolare tra le onde salate, chiudi gli occhi e ascolti il silenzio, 
la prima giornata sugli sci quando fatichi a entrare negli scarponi, senti male alle gambe ma sei davvero così felice di avere il viso rosso per la neve. 

un bacio rubato, di quelli che proprio non ti aspettavi, che ti lascia stupita e ti fan pensare a molte cose che con i baci non c'entrano nulla, 
una notte appassionata che ti lascia stropicciata, spettinata e sorridente, i cui ricordi (vaghi o meno) ti tornano in mente quando non te lo aspetti, tra imbarazzo, dubbi e sorpresa, 
una di quelle volte che scandisci le parole "ti voglio bene" e non le scrivi come fai di solito, audacia dovuta quasi certamente a quel bicchiere in più. 

una buona cena tra amici nel ristorante che ti piace, trovare l'ombrello in macchina quando inizia a piovere, un film che non avevi ancora visto che ti tiene attaccata allo schermo, una mano sfiorata, un regalo inaspettato, un viaggio intenso e il profumo di caffè se te lo fa qualcun altro. 

gli occhiali da sole, un acquisto desiderato, un programma saltato, uno errore risolto, una lettera scritta a mano come qualche tempo fa, la focaccia nel cappuccino, la gazzetta dello sport, l'ultima sigaretta della sera e una risata fragorosa. 

le lenzuola del letto appena cambiato, il pareo che ti appoggi quando sulla spiaggia sono le 18, una dedica su un libro, un complimento quando serve, la brillantezza altrui, il venerdì sera, un negroni fatto come dio comanda e il vento che ti pettina i capelli. 

sì, lo so: la vita non è tutto questo. 
tutto questo è scegliere come vivere. 

mercoledì 5 agosto 2015

ancora single ma mai sola

non sono passati molti anni da quando le insistenti domande di una vecchia megera ispirarono sempre single, mai sola

da allora sono cambiate alcune cose della mia vita, 
come la macchina che ho ricomprato dopo un potente incidente in autostrada, la morte della nonna 
e qualche casino in famiglia, che talvolta ho potuto risolvere e talvolta no. 

come la mia dichiarata incapacità di scegliere uomini adatti a me diventata finalmente consapevole, un percorso costoso ma utile che mi ha insegnato ad avere lucente sicurezza nei miei mezzi 
e un ego sempre più solido, nonostante tutto. 

come qualche fallimentare frequentazione, di cui è meglio non approfondire dettagli, 
una storia d’amore durata meno di un anno (un periodo di tempo odioso che fa sì che la gente dal compatirti passi a dirti impietosamente  meglio ora che dopo, come non avessi diritto a soffrire, sfogarti o andare a bere con le amiche) 
e matrimoni a cui ho assistito arrossendo mentalmente al momento del lancio del bouquet. 

come la nascita di pargoli a cui voglio sicuramente molto bene nonostante distanza e limitata pazienza nel trattare con bambini, 
pregevoli serate in compagnia di amici, includo un compleanno indimenticabile, 
e tanto grandi quanto indimenticabili feste con i miei fratelli. 

come un concerto visto da sola senza alcuna remora, che mi ha portato a conoscere un sacco di personaggi, barista della piazza incluso,  
il successo di una convivenza, non con un uomo ma con un'amica,
e la sostituzione dell'Aperol con il Campari come base dello spritz, per sempre. 

come la crescita incontenibile del mio guardaroba, perché  tanto devo occuparmi solo di me, una nuova paura con cui fare i conti dopo la violazione della mia abitazione da parte di qualche sacco di merda 
e i miei capelli, decisamente più biondi. 

da allora alcune cose della mia vita sono rimaste uguali, 
come il silenzio che mi accoglie ogni sera quando apro la porta di casa, che a volte benedico e a volte detesto (ci vorrebbe un cane, razza certamente superiore di molti mentecatti che ho raccattato), 
tutti i pasti consumati da sola, spesso svuotati nel piatto direttamente dal frigo, raramente preparati e degustati con criterio, 
e la possibilità di crogiolarmi nella mia influenza senza la necessità di parlare con qualcuno o rendermi presentabile, che considero un enorme regalo della vita fino a quando non sono obbligata a uscire in avanzato stato di decomposizione alla ricerca di viveri e farmaci. 

come l'insostenibile voglia di avere un maschio per casa quando si tratta di ammazzare ragni, bestie varie o buttare via la spazzatura, 
l'utilizzo di luci piccole con conseguente speranza che non si brucino anche loro quando si fulmina la lampadina gelosamente custodita in un lampadario impossibile da smontare
e l'inebriante certezza che che cazzo me ne frega, gli altri si sposano io progetto la festa dei 35 anni, tanto a me le feste riescono da dio

come le cene fuori quando ci sono solo coppie, che per me non sarebbe un problema ma quella sedia di merda a capotavola sembra una lettera scarlatta, 
i posti riservati nel tavolo dei single ai matrimoni 
e le domande indiscrete di qualche bigotta della mia età o qualche vecchio puttanone che spera faccia la stessa fine. 

come i preparativi per un non meglio precisato primo appuntamento (quando la speranza di non aver raccattato un altro coglione che non parteciperà alla seconda uscita esiste ancora), 
gli aneddoti che ne conseguono e che spesso e volentieri sono così esilaranti che sono sempre più convinta di dover approfondire lo studio della sociologia per sviluppare nuove teorie 
e l’impietoso giudizio mentale che esplode dopo un primo bacio, soprattutto quando si tratta di capire se sarà anche l’ultimo. 

come i messaggi inviati di notte quando la lucidità non è proprio la dote che mi contraddistingue, 
quelli che la mattina mi sveglio con la sensazione di aver fatto una minchiata 
e quelli che mi aspetto e non arrivano e allora ma vaffanculo, va. 

come la sensazione di non c’entrare un cazzo con i discorsi della maggior parte dei miei coetanei, che io ho una vita così diversa (non migliore né peggiore ma... diversa), 
le mete che non sceglierò per andare in vacanza perché da sola forse non me la sento ancora, ma magari quest'inverno...
e come "quelle sere che sono un po più dure dove serve bere via le paure" (cit.).

da allora è cambiata la mia età, ma solo quella anagrafica, perché diciamocelo conduco una vita di gran lunga più giovane delle persone che conosco,  
l'esistenza di molti amici più fortunati e capaci o magari che si sono semplicemente accontentati 
e la mia consapevolezza, diventata quasi presunzione, il mio sano egoismo, sempre meno disposto a essere oggetto di negoziazione 
e l'uso ancora più forte del singolare in tutto quello che faccio, voglio, sogno. 

da allora non è cambiata la mia risposta mentale preferita quando la gente mi surclassa di banalità (quando meno te lo aspetti, arriverà, bla bla bla...) che è un semplice ma efficace sticazzi, 
la certezza che una frase che scrissi tempo fa "io credo nell'amore, ed è per questo che sono sola" sia l'unica filosofia plausibile sull'argomento 
e la vitale necessità di non farmi rompere i coglioni dal prossimo su alcunché. mai. 

martedì 21 luglio 2015

a un'adolescente sconosciuta con il cuore infranto

insomma, stavo tornando a casa dall’ufficio quando la mia insaziabile voglia di farmi i fatti altrui, risultato della capacità di giudicare il prossimo senza vergognarmene più che dell’amore per il pettegolezzo, mi ha costretta ad ascoltare, mio malgrado, un straziante monologo di un’adolescente in lacrime. 

vedi, io lo odio, lo detesto e tutto quanto…ma non posso immaginare una vita senza di lui, 
capisci? era tutto, era tutta la mia vita, e io come faccio senza di lui? come vivo senza di lui?

oh, sconosciuta adolescente con il cuore infranto, ce la farai. eccome se ce la farai.

ce la farai perché se anche ora ti sembra che una mano invisibile ti abbia strappato il cuore dal petto, lasciandoti viva solo per mancanza di pietà e riducendo così la percezione di te stessa a un pacchetto di patatine finito senza forma, senza utilità e fastidiosamente rumoroso, 
prima o poi quel vuoto si riempirà. 
di te, per la precisione. 

ce la farai perché se anche ora pensi che come lui al mondo proprio no, che non ci sono altre mani capaci di tenere la tua, che il vostro amore era una magia e che tutti gli altri uomini del mondo ti fanno schifo, arriverà il momento in cui ti renderai conto che non eri felice per niente con lui, anzi eri solo molto triste e ti sentivi sola. 
e il conseguente ma vaffanculo, va ti libererà l’anima. 

ce la farai perché nonostante l'assoluta mancanza di energie, nonostante le lacrime che ti pungono gli occhi ti facciano sentire una perfetta idiota, nonostante l'odio che provi nei confronti di chi ti dice te l'avevo detto, nonostante l'insensata voglia di giustificare le sue azioni e nonostante tu non smetta di voler tornare indietro, ne uscirai migliore. 
e migliore sarai tu, migliori saranno le storie successive e migliori saranno le persone che sceglierai.

ce la farai anche se ora non riesci a respirare, dormire o sognare, anche se non hai più parole da usare con nessuno o lacrime da versare, anche se ti fa schifo tutto e detesti le persone intorno a te. 

ce la farai perché da domani capirai molte cose e, credimi, non smetterai mai di farlo.

non ti ho detto questo quando mi sono girata verso di te un po’ stupita dalla tua voce rotta dai singhiozzi e dal timore che mi potessi mandare a fanculo, quindi ti ho detto solo “ce la farai”. la tua risposta meravigliata “davvero?” mi ha fatto capire che ce l’avevi già quasi fatta. 

e sono entrata nel mio portone dicendo “sì!” con un sorriso. 

martedì 14 luglio 2015

strisce pedonali

l’attraversamento è il luogo dove avviene il passaggio da un punto a un altro; 
il passaggio è un mutamento di stato o condizione;
il mutamento è l’atto di cambiare, modificare e modificarsi. 

se le strisce pedonali sono il luogo dove avviene il passaggio da un punto all’altro 
e il passaggio è il mutamento di stato o condizione, quindi l’atto di cambiare o modificarsi, 
allora le strisce pedonali rappresentano i cambiamenti. 

le attraversi per arrivare a un altro punto della vita, sia esso smettere di usare il ciuccio per addormentarti quando sei piccolo, essere finalmente nel gruppo di chi ha già baciato veramente quando sei un po’ più grande o iniziare a fare parte dell’eccitante, nevrotico e, 
si spera, appagante mondo del lavoro. 

le attraversi quando cambi condizione e passi dallo stato solido a quello gassoso per un amore vicendevole e corrisposto, quando da quello gassoso diventi liquido di colpo per una delusione, una perdita, un lutto, e quando grazie a un incredibile colpo di reni, riesci a riconquistare lo stato solido che ti garantisce il giusto equilibrio, seppur precario. 

le attraversi quando modifichi il tuo comportamento per conciliarlo con quello di una persona, come la mamma, un’amica o un fidanzato, quando cambi cose molto importanti di te e delle tua vita, come il taglio di capelli, il modo di vestire, una città, e quando ti senti cambiato da qualcosa, come un’esperienza passata, una storia finita male, una possibilità mai concessa. 

la vita è un insieme di strisce pedonali: 
a volte ti limiti ad andare dall’altra parte della strada anche se sai essere quella sbagliata, 
altre volte, invece, sono così lunghe che mentre le attraversi ti sembra di essere sempre fermo allo stesso punto perché non riesci a vedere la meta. 

e poi ci sono quelle volte che le attraversi pensando ad altro e... SBAM! la vita ti investe: 
puoi uscirne illeso e senza graffi, restare pietrificato da una felicità mai conosciuta prima o farti un male del diavolo. 

in ogni caso la prossima volta meglio dare un'occhiata al semaforo. o forse anche no. 

martedì 23 giugno 2015

... ha le onde come il mare

la malinconia non è mestizia, depressione o pessimismo, come ho letto sul dizionario:
è un lampo che ti fa venire i brividi, ti inumidisce gli occhi e ti lascia un sorso di sorriso, quasi fosse una smorfia incompiuta. 

la malinconia non ti squarcia in due lo stomaco lasciandoti lì, in un angolo, agonizzante e incapace di reagire:
ti tiene la testa sott’acqua per qualche secondo che è vero tu non respiri ma i tuoi capelli che volteggiano nel mare ti danno un po’ di pace.

la malinconia non ti fa barricare in casa nella speranza che le mura che ti circondano anestetizzino un malessere costante:
ti blocca trenta secondi mentre cammini per farti respirare una ventata di tristezza ma quella tristezza lieve che poi ti fa andare avanti con il tuo sguardo migliore. 

la malinconia non ti fa piangere fino a quando sei così sfinito che ti addormenti tra singhiozzi, fazzoletti e macchie di mascara:
ti fa salire un brivido lento e costante che non appena raggiunge la nuca ti elettrizza gli occhi e ti fa prudere il naso, di quei pruriti così leggeri che non val la pena neppure grattare. 

la malinconia non ti fa smettere di credere in qualcuno o in qualcosa, non ti toglie completamente la fiducia negli altri o in te stesso:
sospende tutto quello che pensi, desideri o vuoi per lasciare spazio a un ricordo un po’ sfocato, che sì ti lascia l’amaro in bocca, ma poi puoi sempre lavarti i denti. 

la malinconia non ti provoca dolore fisico a causa di uno stato mentale:
lascia che il tuo corpo non capisca quello che sta succedendo al tuo spirito, nonostante uno sia lo specchio dell’altro. 

la malinconia non è come sentire un concerto intero che pompa i bassi a ritmo del cuore, che durante certe canzoni scambi il beat per tachicardia:
è un pezzo che ascolti per caso che permette a un'emozione lontana di affiorare, confondere e affollare la tua mente per poi sparire e lasciarti lì, immobile e stranito. 

la malinconia non è come qualcosa che hai avuto e ti manca così tanto che hai paura di ricercarlo in ogni volto, gesto e sorriso del futuro:
è una possibilità che non hai saputo cogliere, un futuro che non ti sei sentito di disegnare, una chance che si è frantumata dietro ogni tuo ma. 

la malinconia è vivere nel tempo sbagliato, dice un mio caro amico. 
la malinconia è quella cosa che resta lì, appesa a una bolla di sapone che quando scoppia ti bagna il naso pizzicandolo, dico io. 

la malinconia ha le onde come il mare, dice una canzone. 
sì, le onde come il mare. 

martedì 19 maggio 2015

il coraggio e la paura

parliamoci chiaro, 
tutto quello che succede prevede l’uso di coraggio o la reazione della paura, tutto.
e per questo motivo ho deciso di fermarmi un attimo a pensare.

il coraggio di indossare capi di dubbio gusto,
di rispondere a tono a un cliente spiegando bene le tue ragioni, 
di affrontare periodi impegnativi accettando la sfida senza perdere la testa
e la paura di non stare sufficientemente bene con dei jeans bianchi, 
di un mega cazziatone sul lavoro, 
di soccombere per aver preteso troppo da te stesso.

il coraggio di abbracciare una persona quando pensi che ne abbia bisogno,
di guardare qualcuno dritto negli occhi e dirgli “sai, tu mi piaci. mi piaci davvero, non come quando ti piace un colore, mi piaci come quando inizi a sognare una cosa che vuoi tantissimo”,
di cambiare qualcosa di te perché sai che solo così riuscirai ad avere quello che desideri così tanto che a volte un po' ti manca il respiro
e la paura di risultare troppo invadenti ed essere respinti, 
di sentirsi dire “senti mi dispiace ma tu no, non mi piaci. cioè mi piaci come può piacermi il cane di un amico, lo vedo ogni tanto, mi diverto 5 minuti e poi arrivederci e grazie"
di non essere abbastanza, nonostante tutti gli sforzi. 

il coraggio di assaggiare le lumache, le rane, gli squali o le cavallette
di mandare a fanculo chi ti fa un torto, ma di quei vaffanculo gridati,
di dire no
e la paura di morire soffocato con il prosciutto crudo, le cozze o la carne troppo alta,
di essere stati troppo cruenti, istintivi, iracondi
di dire sì. 

il coraggio di cambiare vita quando ti rendi conto che non ti piace più, 
di chiedere aiuto quando pensi che da solo non ce la puoi davvero fare, 
di assumerti la responsabilità delle tue azioni, soprattutto se coinvolgono altre persone
e la paura di non sapere che percorso seguire, 
di limitare la tua indipendenza emotiva
della reazione delle persone che ferisci, anche non intenzionalmente. 

il coraggio di crederci ancora nonostante la paura di fallire, 
la paura di non avere coraggio a sufficienza per svoltare. 

sono molto rispettosa delle paure degli altri e, 
tra tutte le doti che può avere una persona, il coraggio è senz’altro quella che ammiro di più. 

quindi sì, lo dico:
ammiro il mio coraggio di avere paura senza negarla
e rispetto la mia paura di avere troppo coraggio. 

martedì 12 maggio 2015

e poi ancora in altro, con un grande salto.

sono nata in una città che è un concentrato di salite, discese, scalinate e gradini, 
ha vie che sono così pendenti che i motorini faticano a salire
e creuze da percorrere con calma, che se inciampi finisci in mare. 

è bella la mia città ma molto, molto faticosa. 

deve essere per questo che le pianure mi annoiano mortalmente, 
deve essere per questo che preferisco le discese ardite e le risalite su nel cielo aperto 
e poi giù il deserto, e poi ancora in alto con uno grande salto

parlo delle salite che affaticano, ti tolgono il respiro, ti accelerano il battito cardiaco, 
che ti spettinano perché più sali più c’è vento, che ti fanno venire caldo e poi freddo e poi non sai, 
che ti fanno fermare per un attimo e poi ti fanno ripartire con uno scatto. 

parlo delle discese che ti sembrano facili ma che se non stai attento cadi e rotoli giù, 
che non ne vedi la fine così, mentre scendi, inizi ad avere un po’ paura, che hanno troppe curve e tornanti e pessima visibilità, 
che non riesci a fermarti e se non ti fermi respiri così forte che ti viene da vomitare. 

parlo delle salite che quando inizi il percorso senti quel misto di eccitazione, paura e rispetto, 
che ti guardi indietro e sorridi perché sai da dove sei partito e non sai dove puoi arrivare,
che nonostante l’energia che non senti più, quando sei su, sei in pace con il mondo. 
e soprattutto con te stesso. 

parlo delle discese che le inizi correndo, che tanto il fiato tiene,
che poi però ti viene da rallentare e quasi vorresti fare un mezzo giro su e tornare su, 
che quanta fatica fai a cercare di andare un po’ più lento, quanto impegno e quanto sforzo richiede contrastare la gravità. 
e poi, semplicemente, ti lasci cadere. 

insomma, mi piace il saliscendi della vita. 

mi piacciono le salite che richiedono impegno, energia e resistenza, 
che ti spettinano e tolgono il fiato e ti lasciano senza parole, 
per un traguardo di vita, un obiettivo di lavoro, la conquista di un amore. 

mi piacciono le discese che ti fanno scivolare, cadere e iperventilare, 
che ti chiedono di resistere alla gravità e ti buttano con il culo per terra e ti fanno rotolare fino in fondo,
per un lutto mai superato, un errore che non ti sei perdonato, una vita che sta troppo stretta. 

le discese e le salite sono solo fasi che si alternano e ci compongono, 
tra un tramonto e una rinascita, 
un declino e un’ascesa, 
un fallimento e una conquista. 

sono nata in una città che è un concentrato di salite, discese, scalinate e gradini.
deve essere per questo che mi piacciono le discese ardite e le risalite su nel cielo aperto 
e poi giù il deserto, e poi ancora in alto con uno grande salto