martedì 12 gennaio 2016

della mia vacanza

di come sia stato irritante impiegare mezz’ora a chiudere la valigia prima di partire, 
dei vestiti piegati con cura immaginando poi chissà cosa, 
della sorpresa di non temere più l’aereo, il viaggio, la presunta solitudine. 

di ritrovare l’amico di famiglia e di incontrarne di nuovi stabilendo con loro un feeling inaspettato, 
di come sia naturale stare bene in mezzo a persone di tutte le età, 
dell’aver trasformato i miei compagni di viaggio in amici, di quelli che quando torni a casa poi ti mancano. 

di come sia stato soffice e liberatorio mandare a fanculo il 2015 da un punto qualsiasi in mezzo al mare, 
del messaggio della mamma che è arrivato a mezzanotte precisa fregando così il fuso orario, 
della ceasar salad con l’aragosta che ha accompagnato ogni singola e splendida, cena all’11° piano della mia Fortuna. 

dell’atterraggio a Dubai, tra eccitazione e lucine, dei Lady Taxi e della cafonaggine dei maschi, 
del centro commerciale, dei giochi di luce sotto il Burj Kalifa e di quel gin tonic sorseggiato al 63° piano di un albergo che qualche ora dopo è bruciato,
di quella sigaretta fumata sul balcone della mia cabina davanti allo skyline mentre sussurravo “non ci credo, sono qui”. 

dei colori di Muscat, di quel mare così intenso e selvaggio, d’accordo, ma assaporato da un super resort, 
della storia dell’Oman, di cui onestamente ignoravo tutto e dei racconti sull’amore della popolazione nei confronti del sultano, 
del tramonto mozzafiato che ho ammirato prima di partire, quando poi a un certo punto mi sono trovata in acque iraniane e ho sentito il bisogno di farmi un aperitivo. 

di Abu Dhabi, dei colori delle dune e dei riflessi della sabbia, della jeep che le cavalca e dei cammelli che spuntano da ogni angolo e ti guardano curiosi, 
del vento che ti spettina e che ti fa masticare i granelli così fini che sembrano polvere di terra, del fuoco e del freddo, 
di un Sole così Sole che mi è sembrato di vederlo per la prima volta e di quelle stelle, così luminose che la sensazione di essere lì in mezzo al nulla ha lasciato il posto a una meravigliosa serenità. 
di come non riesco a parlare troppo del deserto perché è stata un’esperienza così intensa che voglio tenere un po’ per me. 

dei fiordi di Khasab, delle piccola barche che sfrecciavano velocissime di fianco al nostro finto Dhow, 
dei villaggi dove l’acqua viene portata la mattina, così piccoli ma così pittoreschi e del bagno in quell’acqua così salata e così blu e così mare, 
dei delfini che ci hanno accompagnato per un pezzo e del vento gelido al rientro che non è riuscito a farmi pentire di essermi goduta quell'escursione.

della fantastica presenza di Titty, della palestra con Pia e dei nostri commenti sui suoi frequentatori, dell’amicizia sincera nata con Beina nonostante l’età e della nostra immediata complicità.

delle risate incontrollabili con Venucia e delle foto strabilianti di Marly, due persone così straordinarie che resteranno nel cuore,
dell’improbabile figura a cui ho assistito quando abbiamo conosciuto Andrea e della sua brillantezza nell’accettarla.

di Carlos e di come mi abbia tenuta a parlare fino alle 5,30 del mattino in una lingua che non conosco per poi dirmi “sarà meglio che vada da mia moglie”, 
di un accento inconfondibile che quell’ unica occasione ha reso stranamente piacevole e di quella frase sussurratami all’orecchio la mattina del primo giorno del 2016, 
forse una tra le più soffici che abbia mai sentito, che più o meno diceva “aspetto che ti addormenti e me ne vado”. 

di quando siamo partiti e, come ogni crociera, sono salita sul ponte per vedere le manovre con papà, 
di quando sono tornata e, come dopo ogni viaggio, ho capito dove voglio andare, cosa voglio fare e chi voglio avere. 

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