lunedì 5 novembre 2012

la signora dei piccioni

la signora dei piccioni è bionda, ha i capelli legati in un elegante chignon, fuma sigarette bianche e sottili e ha sempre le labbra dipinte di rosso. 

si siede tutti i giorni sulla stessa panchina di un piccolo giardino,  porta un pacchetto di pan carré Mulino Bianco, lo spezza con pazienza e  lo tira a terra per dare da mangiare ai piccioni; loro arrivano, disordinati e grigi, la avvolgono in un vortice di piume sporche e, con sorprendente ingordigia e senza seguire alcuno schema, mangiano come capita. 

la signora dei piccioni si muove con eleganza e si veste bene, quel tipo di abbigliamento che fa sembrare ci sia una logica ben precisa dietro ogni scelta di tessuto, colore e abbinamento. che poi, se anche così non fosse, appare sempre molto curata. 

ho cercato di immaginarla nella sua vita vera e l'ho sempre pensata sola (chissà con che diritto poi). 

ho immaginato che si svegliasse presto la mattina, che bevesse il suo caffè latte, che si prendesse tutto il tempo necessario per comporre lo chignon, che aprisse l'armadio per scegliere con calma cosa indossare e che applicasse il solito rossetto rosso, con mano ferma e tratto sicuro.

ho immaginato che andasse al bar per un caffè, che leggesse l'Alto Adige, che secondo me è di madrelingua italiana, e che poi si accendesse una delle sue sigarette lunghe e sottili per non pensare alle notizie che ha letto. o, forse, per pensarci fin troppo. 

ho immaginato che facesse la spesa sorridendo davanti allo scaffale del pan carré Mulino Bianco, che andasse a casa a prepararsi il pranzo, che si versasse un generoso bicchiere di vino e che ascoltasse la fine del tg2 appena in tempo per andare a sedersi sulla panchina del piccolo parco.

ho immaginato che tornasse a casa con una mano intirizzita dal freddo, perché per spezzare il pane deve levare un guanto, che scegliesse con cura un libro già letto e che si sedesse in poltrona per divorarlo dopo aver cercato gli occhiali, addormentandosi. 

ho immaginato che bevesse il té delle 17 e l'aperitivo delle 18,30, appena dopo aver giocato una partita a solitario ascoltando la Primavera di Vivaldi,  che telefonasse a un parente lontano e che poi cenasse con un minestrone. 

ho immaginato che si sciogliesse lo chignon, che spazzolasse i suoi lunghi capelli biondi prima di coricarsi, che pensasse a qualcuno che non c'è più, o che forse non c'è mai stato, e che sognasse qualcosa, o qualcuno, di rassicurante. 

immagino che in quei minuti trascorsi al parco lei si perda nei ricordi deformati dal tempo, nei rimpianti di un'epoca che è scappata via, nei lustrini scintillanti di quando era giovane e nei brividi concessi da un amore mai consumato. 

lo so, sono molto presuntuosa a pensare tutto questo di lei ma solo perché sono adulta. 

se fossi piccola la osserverei da lontano con quel misto di ammirazione e inquietudine che solo certi tipi di persone suscitano nei bambini: probabilmente non le parlerei subito e farei finta di non vederla, perché da piccola non devi parlare con gli estranei, ma sono sicura che alla lunga mi conquisterebbe così tanto da avvicinarmi per dirle ciao.

oggi, mentre passavo accanto alla panchina del piccolo giardino attenta a non disturbare né lei né quei disgustosi pennuti, mi ha guardata e mi ha sorriso con tenerezza. 

sono quasi sicura che abbia riconosciuto la bambina che è in me. 

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